Modificare un contratto di locazione già registrato significa intervenire su un atto che, oltre a disciplinare il rapporto privatistico fra proprietario e conduttore, ha assunto rilevanza verso l’Erario e verso i terzi nel momento in cui è stato depositato all’Agenzia delle Entrate. Ogni variazione che incida su elementi essenziali del contratto – dal canone alla durata, dalla parte locatrice al regime fiscale scelto – richiede, per non divenire inopponibile o passibile di sanzioni, un doppio passaggio: la stipula di una scrittura integrativa sotto forma di atto privato firmato dalle parti e la registrazione di tale atto entro trenta giorni, secondo quanto impone l’articolo 19 del Testo unico dell’imposta di registro. L’obbligo di registrazione a carico di entrambe le parti, sancito dall’articolo 17 dello stesso T.U., fa sì che locatore e conduttore siano solidalmente responsabili di imposta, interessi e sanzioni, ragione per cui la prassi più sicura consiste nel perfezionare l’adempimento congiuntamente o, in alternativa, incaricare un intermediario abilitato che curi ogni formalità.
Il legislatore distingue fra modifiche che generano un effetto economico e quelle che si limitano a rettificare dati formali. Se ci si limita a correggere un refuso nell’indirizzo dell’immobile o nel numero dei vani senza che ciò condizioni il canone, la dottrina prevalente ritiene sufficiente una comunicazione scritta all’ufficio dove l’atto è stato registrato, allegando copia di un’istanza firmata dalle parti; non si paga l’imposta di registro perché non cambia la base imponibile. Quando invece la scrittura integrativa tocca il corrispettivo – ad esempio una riduzione temporanea del canone, un aumento pattuito dopo un periodo di calmierazione o l’introduzione di un meccanismo di adeguamento diverso dall’indice Istat originariamente previsto – l’imposta va calcolata in misura proporzionale o fissa a seconda della natura del contratto. Nelle locazioni abitative a cedolare secca, l’imposta di registro non è dovuta, ma resta fermo l’obbligo di depositare la variazione mediante il modello RLI, poiché l’articolo 3 del decreto legislativo 23/2011 condiziona la validità del regime sostitutivo a una comunicazione tempestiva delle proroghe, dei subentri e, appunto, delle modifiche del canone. In ambito commerciale, dove la cedolare secca non è ammessa, il fisco esige l’imposta proporzionale. Se il canone aumenta, si paga lo 0,50 per cento dell’incremento complessivo del corrispettivo annuo moltiplicato per il numero di anni residui, con piccolo correttivo dell’1 per cento in caso di opzione per l’imposta di registro con aliquota minima; se diminuisce, non c’è conguaglio a favore dell’Erario, perché l’imposta versata all’origine copriva un corrispettivo maggiore.
La procedura di registrazione è incardinata sul modello RLI, disponibile in versione telematica e cartacea. Dal 2024 il canale preferenziale è “RLI-web” all’interno dei servizi dell’Agenzia: permette di compilare la scrittura integrativa, allegare PDF firmati digitalmente e pagare tramite F24 telematico con addebito diretto sul conto del dichiarante. In alternativa, il modello cartaceo si può presentare allo sportello dell’ufficio territoriale competente allegando la scrittura privata in duplice originale. L’ufficio rilascia una planimetria di ricevuta e, se dovute, le marche da bollo di sedici euro ogni quattro facciate o centomila caratteri. L’esenzione da bollo prevista per la cedolare secca si estende alle scritture integrative registrate sotto quel regime: è sufficiente barrare l’apposita casella nel modello RLI, dichiarando che il locatore mantiene o opta ex novo per la cedolare.
Il termine dei trenta giorni decorre dalla data dell’atto integrativo e non dalla sua efficacia pattizia. Ciò significa che, se il 15 gennaio le parti concordano di ridurre il canone dal primo marzo, la scrittura è datata 15 gennaio e il deposito deve avvenire entro metà febbraio, indipendentemente dalla decorrenza pratica. Il rispetto del termine ha rilevanza sanzionatoria: il ritardo fino a trenta giorni costa una sanzione ridotta del cento per cento dell’imposta dovuta, applicabile anche se l’imposta è zero, con minimo di sessanta euro; fra il trentunesimo e il novantesimo giorno la riduzione sale al duecento ma può essere sanata mediante ravvedimento operoso con la riduzione a un dodicesimo. Trascorso un anno, la sanzione ordinaria del duecento per cento diventa difficilmente riducibile e il costo cresce in maniera significativa.
Vi è poi l’ipotesi della cessione del contratto, quando cioè l’inquilino subentra a un altro per accordo con il locatore. Qui la scrittura deve contenere il consenso scritto del proprietario e andrà registrata con imposta fissa di sessantasette euro (attualmente duecento lire duemila lire nel DPR 131/86 diventati euro), tranne che la locazione sia in cedolare secca: in tal caso l’imposta si azzera ma la comunicazione tramite RLI resta obbligatoria. Se il subentro riguarda invece il locatore, ipotesi tipica della successione mortis causa o della donazione dell’immobile, è la parte entrante a doversi preoccupare della comunicazione, affinché l’ufficio aggiorni il cassetto fiscale e il conduttore possa continuare a dedurre o detrarre le spese di affitto senza interruzioni.
Le modifiche attinenti alla durata, sia proroga sia disdetta anticipata, seguono vie analoghe. Quando le parti concordano di prolungare il contratto, la proroga va registrata entro trenta giorni dalla scadenza naturale, con imposta proporzionale sul nuovo periodo o con imposta fissa se la locazione è in cedolare secca. Se invece si decide di cessare il contratto prima del termine – classico esempio la risoluzione consensuale per la vendita dell’immobile – occorre registrare la risoluzione entro trenta giorni pagando l’imposta fissa di sessantasette euro, salvo ancora una volta il caso della cedolare secca che esenta da tributo ma non dalla dichiarazione. La disdetta unilaterale ex articolo 3 legge 431/1998 rientra in questa tipologia: la risoluzione va registrata quando il conduttore riconsegna effettivamente l’immobile, non già alla notifica del preavviso.
Un ulteriore profilo riguarda il deposito cauzionale. Se in origine il contratto lo prevedeva in una misura e con la scrittura integrativa si decide di ridurlo o aumentarlo, l’Agenzia delle Entrate considera tale variazione fiscalmente irrilevante ai fini dell’imposta di registro, perché la cauzione non costituisce corrispettivo, bensì garanzia. Tuttavia, la modifica va menzionata nella scrittura affinché, in caso di restituzione a fine locazione, non sorgano dubbi sull’esatto ammontare.
Dal 2022 è entrato in vigore l’obbligo, per gli atti telematici, di allegare il file “Informativa Weki” sulla tracciabilità dei canoni corrisposti in contanti sopra la soglia di mille euro annui: si tratta d’un adempimento volto a contrastare l’evasione e si applica anche alle scritture integrative che comportino variazione di canone. Se si riduce il corrispettivo sotto tale soglia, l’informativa va aggiornata di conseguenza, pena una sanzione da mille a quattromila euro.
Dal punto di vista civilistico, la scrittura integrativa deve rispettare i requisiti di forma del contratto primario: se il contratto era stato stipulato in forma autentica, anche l’addendum dovrà avere le firme autenticate, altrimenti non potrà essere trascritto nei registri immobiliari e non avrà efficacia verso terzi. Per i contratti in semplice scrittura privata registrata, l’addendum può conservarne la stessa forma. In ogni caso, il richiamo all’articolo e alla clausola del contratto originario da modificare facilita l’interpretazione e garantisce certezza sul testo vigente, poiché spesso gli addenda si susseguono nel tempo.
Un ultimo aspetto riguarda l’adeguamento ISTAT. Nella prassi molte parti concordano una rinuncia temporanea all’aggiornamento per sostenere il conduttore in momenti di crisi; tale decisione configura una vera e propria modifica del canone, seppure a tempo determinato, e segue dunque la disciplina sopra descritta: scrittura, registrazione entro trenta giorni, imposta se dovuta. Spesso ci si chiede se basti un semplice accordo verbale: la risposta è negativa, sia perché l’articolo 8 legge 392/78 impone la forma scritta per ogni clausola che modifichi il corrispettivo, sia perché la registrazione assicura al locatore la prova in sede fiscale del minor reddito percepito.